I FRUTTI DEL FUOCO
Sottotitolo: La pizza come è stata trovata
a Napoli nei primi anni ’20.
Pregiatissimo Raffaele Esposito Brandi,
Le confermo che le tre qualità di pizze
da Lei confezionate per Sua Maestà
la Regina vennero trovate buonissime.
Margherita di Savoia, 11 giugno 1889
Apertura: Da Fernanda.
Fernanda è vestita interamente di bianco, ha più di ottant’anni, ma non un capello bianco. È sola nella sua piccola bottega e prepara le migliori pizze fritte di Napoli. L’atmosfera è molto tranquilla, lei si prende il suo tempo, ogni gesto è lento, preciso, pesato. È un palcoscenico bianco, un frontespizio, un quadro davanti a voi, con l’olio che bolle, una nonna che immerge nell’olio pezzi di pasta con salsa di pomodoro e mozzarella. Anche Massimo Bottura da Modena ha voluto imparare da lei, ma è stato trasmesso tutto, da questo piatto portato alla perfezione? Oggi sulla sua porta è attaccato uno sciocco foglio A4: « Chiuso definitivamente ». Come sta Fernanda? La sua assenza è una grande perdita, un grande silenzio al 180 di rue de la Petite espérance. La generazione degli anni ’40 e ’50 comincia a stancarsi.
Poi ci sono le dinastie che resistono, a qualunque costo. Si pensi al famoso Gino Sorbillo, che utilizza prodotti biologici e regionali, e il cui ristorante è spesso preso di mira dalle agromafie; o all’antica pizzeria Da Michele, il tempio su cui si erge la statua di San Antonio Abate, dove l’inflazione è più che reale: i prezzi sono raddoppiati in quattro anni. Vorrei dire che Da Michele, nonostante sia diventata una catena, e questo è forse uno dei motivi della sua sopravvivenza e del suo successo, offre ancora pizze leggendarie, con il gusto inimitabile della centenaria pasta di reporto, il sapore del magnifico fior di latte d’Agerola, e una dimensione e una finezza ineguagliabili. Danièle, la discendente del primo Michele, si occupa della cassa ed è felice di scattarsi un selfie. I suoi figli sono in sala da pranzo e l’erede maschio Alessandro si ferma di tanto in tanto, con occhiali da sole e casco da scooter, per controllare che tutto vada bene. C’è anche il noto maestro Enzo Coccia, che ha solo due piccole pizzerie nella parte alta di Fuorigrotta. È un maestro della tradizione, che mantiene viva mantenendone l’eccellenza. Vale la pena ricordare il disciplinare per la denominazione controllata della pizza napoletana, di cui quest’uomo è maestro. A differenza di quelle pizzerie che fuori dall’Italia seguono ciecamente gli editti dell’AVPN e si immaginano così venerabili, qui c’è qualcosa in più nell’impasto, qualcosa di vivo e immateriale. A questo proposito, ricorderò sempre uno chef parigino che, in uno scambio di opinioni, non riusciva a capire perché si potesse pensare che ci fosse qualcosa da migliorare nella sua pasticceria… Non riesco a immaginare la sua reazione se avesse mangiato nei ristoranti degli chef di cui parleremo ora. Ma in ogni caso, abbiamo bisogno di questi guardiani, di questi garanti delle fondamenta su cui costruire il futuro di una cucina. Sono queste le fondamenta su cui costruire il futuro di una cucina, su cui far avanzare un percorso solido e con un’anima. Un po’ di mozzarella, un po’ di frutta del Vesuvio e presto chiamerai tua madre.
Dall’altro lato, abbiamo alcuni principi, il cui pedigree è meno lungo, che officiano in enormi e appariscenti stabilimenti sulle rive del Golfo di Napoli. Da dove vengono questi miei figli che sfilano ai vertici delle classifiche mondiali, il cui ego è alto come il Vesuvio, che si rotolano in sala, con i loro torsi rigonfi di virilità d’altri tempi, con i tatuaggi, i tagli di capelli troppo a destra e la pancia da birra, e le cui pizze, ordinarie per gli standard napoletani, vengono servite senza alcuna gentilezza? Non dovremmo nemmeno parlare di loro, ma dobbiamo farlo. Perché sono loro a rubare la scena ai veri maestri, ai detentori della tradizione e ai geni del domani. Ma non vogliamo metterci nei guai, quindi lasciamo perdere.
Oltre a questi, ci sono anche i maestri abbastanza classici, Salvo, 50 Kalo, Tre Concetina, che vi consigliamo per i loro palati, e per gustare allo stesso tempo una pizza più che dignitosa. È un corso interessante, che lascia un buon ricordo, ma tutt’altro che emozionante. Di pizzerie buone ce ne sono tante, sicuramente migliori di quasi tutte le pizzerie europee, e non possiamo citarle tutte, sarebbe comunque inutile. Ma se queste sono sulla vostra strada, fatelo.
Ora daremo un’occhiata ai grandi, agli chef stellati della pizza, i veri cuochi italiani specializzati nella pizza su tovaglia. Non dimenticherò mai l’emozione prodotta da una pizza assaggiata da Franco Pepe, sulle alture acciottolate di Caiazzo. È stata la prima volta che una pizza mi ha fatto provare qualcosa che va oltre le parole. È cotta… c’è davvero bisogno di commentare l’impasto? È un nido di mortadella IGP, il che significa che è superiore, un garofano di ricotta di bufala campana DOP, scagliette di pistacchio, un bel fiore di scorza di limone del giardino e… il tempo si ferma. Mi sono cadute le braccia e non sono riuscito a dire una parola. Commosso, con le lacrime agli occhi. Dai, questo non è posto per le lacrime, il prossimo piatto. La sua margherita sbagliata è un capolavoro d’avanguardia della cucina italiana, e ci fa esitare tra la cucina gourmet e la pittura di un Sol LeWitt.
Francesco Martucci, a dieci chilometri di distanza, in un concorso abbastanza noto, ha appena conquistato il primo posto mondiale. E se prendete la sua Marinara di Futuro, capirete subito perché. Quest’uomo ha inventato un triplice metodo di cottura: cottura a vapore a cento gradi, cottura a centottanta gradi in olio, poi cottura a quattrocento gradi in forno. Il massimo dell’idratazione, la sfida impossibile ma riuscita di combinare un’idratazione altissima (almeno quanto l’acqua della farina) con una croccantezza senza precedenti. Questa marinara è un’artiglieria di note di sapore, un capolavoro del terroir napoletano. I migliori ingredienti prodotti dall’agricoltura e dalla pesca campane, riuniti nella pizza dei poveri, la pizza più economica, la pizza più umile. Crema di pomodoro arrosto, olive caiazzane, alici di Trapani, pesto di aglio orsino, capperi di Salina, origano dei Monti Lattari. Ecco, il gioco è fatto, la partita è finita. Arrivederci e grazie. Siamo scossi, quasi senza parole, da tanto effetto con così poco. Ma va detto che l’impasto fa la sua parte, e il tutto tocca il cielo. La presentazione è più giocosa e meno stilizzata di quella dello chef di Caiazzo, ma il risultato non è meno potente.
Infine, per concludere questo articolo, dobbiamo parlare di un fenomeno unico a Napoli e fare un’ultima gita allo Stadio Diego Armando Maradona. È un bel posto, di fronte al vecchio Stadio del Sole. È un UFO, un mago, un ricercatore, un visionario: insomma, un genio, che spinge i limiti dell’arte bianca al di là di quanto l’intero panorama italiano e mondiale abbia mai visto. Per descrivere ciò che fa, poniamo una semplice domanda di protocollo. Come si fa a mandare in onda un servizio di 300 pizze all’80% di idratazione, con un solo uomo al lavello e al forno, beh cari amici… solo Raffaele Bonetta potrà rispondere a questa domanda, sul pianeta Terra e non solo. Umile, ma con 100.000 follower su Instagram, poserà con voi in una foto come se foste amici e condividerà la vostra storia come se nulla fosse. Ma torniamo alla sua pizza, e più precisamente alla sua margherita… stellare, più idratata che mai eppure cotta con la pala – a differenza di Martucci, che fa il passo più lungo della gamba usando una padella di acciaio inossidabile, che è normale – è indescrivibile, e migliore di qualsiasi cosa possiate mai mangiare. Raffaele Bonetta è al centro dell’attenzione nel mondo professionale dell’alta pizza. Tutti vanno da lui per allenarsi, e non per niente. In un solo boccone si viene vaporizzati e non si può far altro che stare zitti e godersi il puro piacere. L’autore non ha altro da dire sugli ultimi cinque anni. Per i prossimi venticinque anni, permettiamoci di formulare un desiderio globale: che tutti i grandi pizzaioli passino al biologico, che la cucina diventi sempre più priva di prodotti animali. Che i piccoli maestri diventino i grandi maestri, e che i grandi maestri trasmettano il loro sapere.
Jean Tertrain
@graille.media
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